Rodolfo Raffaelli: “Mio padre Ciuffino, Colcitrone e la goliardia dei primi quartieristi”. Aneddoti e ironia del mondo della Giostra
"Una volta ho alzato la lancia vestito da capitano: nell’albo d’oro c’è il mio nome, ma io in realtà in quell’occasione ero solo la controfigura di mio padre". E’ un ricordo indelebile, che tocca il cuore di chi lo racconta e di chi lo ascolta raccontare. E’ il ricordo di Rodolfo Raffaelli, il figlio di Guido conosciuto dal popolo della Giostra come Ciuffino, il Capitano più vittorioso nella storia della manifestazione. Questa sera la prova generale sarà dedicata proprio a Ciuffino: “E io - annuncia il figlio - entrerò in piazza riservando una piccola sorpresa”.
Rodolfo è uno dei quartieristi storici di Porta Crucifera, la sua famiglia, insieme a quella di Vannozzi, ha scritto intere pagine della vita del quartiere. Raffaelli, infatti, ha visto Colcitrone crescere, cambiare, attraversare momenti difficili e rinascere. “Negli anni sono cambiate molte cose, basti pensare che una volta alle cene propiziatorie eravamo 200 mentre oggi invece siamo arrivati a 800. E tanti ragazzi oggi vivono il quartiere ogni sera”.
Ma alcuni decenni fa tutto era diverso: Raffaelli ha vissuto i giorni goliardici del quartierismo aretino e con leggerezza e ironia ne racconta gli aneddoti. Come quella volta che Porta Crucifera e Porta Sant’Andrea divennero complici - e non è uno scherzo - pur di giocare un tiro mancino a Porta Santo Spirito. “Molti anni fa - racconta - qui al quartiere, prima della Giostra, ospitavamo il cavallo. Nella stalla, naturalmente, c’era letame da spalare e portare via. Un quartierista aveva un trattore e un carrello. Ma una volta che il carico fu pieno pensammo di fare uno scherzo ai vicini di Sant’Andrea”. Qualcosa però non andò per il verso giusto e arrivati nel cuore bianco verde trovarono un “comitato di accoglienza”. “Ci chiesero cosa stavamo facendo, noi eravamo tanti, e qualcuno ebbe un lampo di genio. Rispose che stavamo facendo uno scherzo a Porta Santo Spirito. E per tutta risposta ci dissero che avrebbero partecipato anche loro”. E così nel cuore della notte, dopo la cena propiziatoria, portarono ai Bastioni un intero carico di letame e lo scaricarono tutti di fronte all’ingresso del quartiere. “L’indomani la sfilata iniziò in ritardo”, racconta sorridendo.
Ogni lancia d’oro, ogni trofeo esposto in palazzo Alberti ha una storia che Raffaelli sa raccontare. “In quella parete c’è rimasto uno spazio. Io questa sera vorrei riempirlo con la targa dedicata a mio padre. Lui ha vinto 14 lance, ma io in realtà so che sono 15: perché nell’edizione in cui lo sostituii, nel 2001, io ero solo la sua controfigura, il capitano era sempre lui. Anche se per motivi di salute dovette dare le dimissioni“.
Un incarico quello di Ciuffino che arrivò quasi per caso: “Quando Vittorio Farsetti diede le dimissioni, nel 1971, il rettore, mio zio Aurelio, chiese in consiglio chi avrebbe potuto sostituirlo. E lo stesso Farsetti indicò mio padre. Il rettore allora chiese a mio padre se se la sentiva. E mio padre indicando Farsetti rispose: “Se lo dice lui”. E così divenne capitano”.
E da allora nuove pagine, tra le più gloriose, della storia di Colcitrone furono scritte. Tra goliardia, gesta atletiche e imprese epiche.